Sia Ernst Kris che Ernst Freud, il figlio che si è dedicato all'arte, mi hanno sconsigliato di scrivere questo capitolo, adducendo che siccome Freud aveva scarso gusto estetico non può esserci nulla di interessante da dire sull'argomento. Con tutto il rispetto che nutro per queste due autorevoli persone, ritengo necessario chiarire alcuni punti. Gli artisti hanno giustamente rimproverato a Freud di travisare i loro fini: giustamente, perché l'esposizione di Freud è incompleta. Secondo me, invece, esiste la possibilità di chiarire l'equivoco da entrambe le parti.
Per qualche ragione non tanto ovvia gli esponenti di una delle cinque branche riconosciute dell'arte, e precisamente i pittori, hanno fatto propri i termini «arte» e «artista» come pertinenti al loro dominio; occasionalmente è concesso servirsene agli scultori. Questo atteggiamento è l'inverso di quello invece prevalente nell'antica Grecia, dove l'appellativo di artista era riservato a poeti e musicisti; pittori, scultori e architetti erano considerati semplici artigiani, atteggiamento derivato dal disprezzo allora diffuso per qualsiasi lavoro manuale. In questo capitolo, però, noi ci serviremo del termine nel suo senso corrente e limitato.
Tanto per cominciare, sull'atteggiamento di Freud nei confronti dell'arte è facile affermare due cose ben precise: Freud nutrì una costante e illimitata ammirazione per gli «artisti» di tutti i generi: talvolta con una sfumatura d'invidia per le loro doti superiori; Freud godeva e apprezzava l'arte (da un punto di vista più o meno strettamente estetico) nel seguente ordine discendente: prima la poesia, poi la scultura e l'architettura, finalmente la pittura e ultima la musica (tranne pochissime eccezioni).
Gli artisti, cioè i pittori, si sono risentiti per quel che Freud ha scritto su di loro, atteggiamento che ha trovato la sua espressione più incisiva negli scritti del noto critico d'arte e pittore Roger Fry, che ci accingiamo a prendere in considerazione. In questa critica un equivoco iniziale nasce dal fatto che, nello scrivere su questo argomento, Freud aveva in mente soprattutto gli scrittori creativi: le sue tesi risultano perciò più intelligibili in questo campo che non in quello della pittura.
Il passo che in particolare suscitò l'ira di Roger Fry, andrebbe citato per intero; esso compare nelle Lezioni introduttive e dice: «Prima di finire, oggi, vorrei richiamare per un momento la vostra attenzione .su un lato della vita fantastica che riveste un interesse molto generale. Esiste infatti un sentiero che riconduce dalla fantasia alla realtà, e questo sentiero è l'arte. L'artista è anch'egli predisposto all'introversione e non gli ci vuole molto per diventare nevrotico. Egli è spinto da desideri istintivi troppo esigenti: ambisce onori, potenza, ricchezza, fama, l'amore delle donne, e non ha i mezzi per raggiungere queste gratificazioni. Allora, come tutti quelli che hanno un desiderio insoddisfatto, si sottrae alla realtà e sposta tutto il suo interesse e tutta la sua libido nella realizzazione di questi suoi desideri nella fantasia: il passo alla nevrosi è breve. Molti fattori devono concorrere onde evitare che l'esito dello sviluppo dell'artista si arresti qui; è ben noto che spesso gli artisti in particolare, in seguito a una nevrosi subiscono una parziale inibizione delle loro capacità. Probabilmente la loro costituzione è dotata di un forte potere di sublimazione e di una certa elasticità nei confronti della rimozione che determina il conflitto. Ecco il cammino scelto dall'artista per tornare alla realtà: non è lui il solo ad avere una vita fantastica; il mondo intermedio della fantasia è sanzionato dall'unanime consenso degli uomini, ed ogni anima assetata vi cerca conforto e consolazione. Ma per chi non è artista, le gratificazioni che si possono trarre dalle fonti della fantasia sono molto limitate: la loro inesorabile rimozione impedisce di godere se non gli scarni sogni ad occhi aperti che riescono ad affiorare alla coscienza. Il vero artista ha a sua disposizione qualcosa di più. In primo luogo egli sa come elaborare i suoi sogni ad occhi aperti in modo da spogliarli di quella nota personale che suona stridente a un orecchio estraneo, rendendoli in tal modo graditi agli altri: sa poi fino a che punto deve modificarli per velare le fonti proibite da cui traggono origine. Inoltre l'artista possiede la misteriosa capacità di plasmare il suo materiale personale finché esso non esprime fedelmente le idee nate dalla sua fantasia; sa poi come annettere a questo riflesso della propria vita fantastica una corrente di piacere così intensa da sbilanciare e dissipare, almeno per un momento, ogni repressione. Quando l'artista riesce a fare tutto questo, egli permette agli altri di ritrovare consolazione e conforto nelle proprie fonti inconsce di piacere, raccogliendo così la loro gratitudine e ammirazione. Egli conquista allora, tramite la propria fantasia, ciò che prima poteva ottenere solo nella fantasia: onori, potenza, amore delle donne.»
Fry muove a questa esposizione delle vedute di Freud due critiche molto appropriate. La prima è che i fini che animano coscientemente l'artista, elencati da Freud in termini non proprio felici nella frase conclusiva, sono validi solo per gli artisti di secondarissima importanza (quelli che Fry chiama «impuri») nei quali l'interesse per l'arte sembra subordinato a desideri mondani d'altro genere. Che un artista, almeno nei primi stadi del suo sviluppo, sia influenzato dal pensiero di un pubblico, vero o immaginario che sia, è probabilmente esatto, ma - come ha efficacemente fatto notare Hanns Sachs - quando l'artista raggiunge la maturità, il concetto di un pubblico si è già ampiamente interiorizzato, si è fuso con il suo super-Io e quest'ultimo finisce col rivestire un'importanza assai maggiore di qualsiasi riconoscimento tributato dal mondo esterno. La relativa indifferenza agli apprezzamenti esterni che riscontriamo ad esempio in artisti come Cézanne, ha raggiunto il suo apogeo negli artisti religiosi anonimi del Medioevo e un'espressione ancor più evidente nei creatori dei mosaici bizantini di Ravenna.
Ed ecco appunto la seconda critica di Fry: il peso esagerato attribuito da Freud al ruolo della fantasia, a scapito degli aspetti più strettamente estetici dell'opera d'arte. Ai nostri fini possiamo definire quest'ultima dicendo che consiste in un intenso godimento emotivo ma extrasensoriale, nel cogliere e quindi rendere certi rapporti formali significativi e ordinati. Worringer ha definito «l'essenza della forma» con le due parole Ge-setzmàssigkeit e Notwendigkeit (ordine regolare di una legge e necessità inevitabile). In pittura questo corrisponde a ciò che nello scrittore si manifesta come preoccupazione di ottenere sequenze obbligate di causa ed effetto delle quali la tragedia rappresenta l'esempio per eccellenza. Fry, e con lui tutta una scuola di critici d'arte, sostiene non solo che il^par-ticolare tipo di godimento a cui abbiamo ora accennato è un costituente essenziale dell'arte, ma che esso rappresenta il nucleo di ogni vera arte. Fry individua gli elementi emotivi del piacere estetico 1. nel ritmo della linea, 2. nel senso del volume, 3. nel senso dello spazio, 4. in luci ed ombre, 5. nel colore. Il requisito fondamentale è l'unità dell'equilibrio geometrico e dei rapporti di successione. Gran parte dei dipinti, concede Fry un po' a malincuore, racchiudono anche un contenuto ideativo che in base a diverse associazioni dovrebbe stimolare qualche particolare emozione; Fry sostiene però che simili emozioni vanno a detrimento del piacere puramente estetico provocato dall'opera d'arte, e vanno considerati un'esca per attirare l'attenzione dei profani per i quali l'arte non rappresenta l'interesse primario, anche se questa esca funge da richiamo verso i sacri misteri.
Questo termine «esca» è interessante perché se ne serve anche Freud. Per Freud è il misterioso «talento artistico» (che non si identifica necessariamente con la valutazione estetica in senso stretto) a servire da esca per sollecitare l'interesse dello spettatore e condurlo con entusiasmo a godere la gratificazione segreta di desideri inconsci che l'artista gli offre. Freud lo chiama «piacere preliminare» (Vorlust); esso porta al «piacere finale» (Endlusf) di una gratificazione completa. Freud chiama il «piacere percettivo della bellezza formale» un «premio di incitamento» che alletta l'osservatore verso altre profondità.6 Questo concetto di due stadi nell'acquisizione della gratificazione, Freud lo applica a varie sfere, soprattutto all'analisi della tecnica e del significato del motto di spirito, e ne troviamo il prototipo più evidente nel campo del desiderio sessuale. Nel presente caso, però, si nota che esso viene applicato in senso contrario a quello dell'artista; per Freud la valutazione estetica precede la gratificazione di qualche fantasia inconscia, mentre per l'artista l'interesse emotivo precede il godimento estetico. Entrambi possono pretendere d'avere ragione: l'artista sa quante volte l'interesse per il contenuto manifesto di un quadro conduce l'osservatore ad apprezzarne gli aspetti estetici, mentre Freud va oltre e sostiene che proprio questi aspetti costituiscono il richiamo per una reazione al contenuto inconscio del quadro.
Arbitrariamente si può anche affermare, con Fry, che l'arte non è altro che valutazione estetica (che è diverso dal dire che questa è parte essenziale dell'arte): diventa allora una questione di parole. Vediamo però che le correnti artistiche che si limitano a questo elemento, ad esempio il cubismo, subiscono un progressivo inaridimento nella qualità, e di conseguenza circoscrivono sempre più il loro campo d'attrazione. E quando Fry insiste che «il patrimonio artistico accumulato ed ereditato dall'umanità è composto quasi per intero da quelle opere nelle quali il disegno formale rappresenta la condizione principale», si può anche aggiungere che esse non mancano mai di un contenuto, per cui l'interrogativo se debbono la loro immortalità all'uno o all'altro o, più probabilmente, a entrambi, rimane sempre aperto. Anche nelle produzioni più astruse di Picasso o di Henry Moore, si riesce di solito a indovinare qualche immaginazione inconsce simboleggiata nei contorni.
Può darsi benissimo che l'interesse cosciente dell'artista sia volto, forse esclusivamente, all'elemento estetico. Nel descrivermi una serata trascorsa in compagnia di un artista, Freud mi scriveva: «Il significato conta poco per questa gente: non badano che alla linea, alla forma, all'armonia dei contorni. Essi si abbandonano al Lustprinzip (principio del piacere).». Fry insiste pure sull'indifferenza cosciente dell'artista al contenuto di ciò che sta dipingendo: «Rembrandt esprimeva i suoi sentimenti più profondi sia che dipingesse una carcassa appesa in una macelleria, sia che dipingesse una crocefissione o la propria amante.» A proposito di Rembrandt e seguendo una libera associazione, dirò che Freud mi rivelò una volta che Rembrandt era il suo pittore preferito. Suppongo però che ciò che lo interessava non fosse la composizione della carcassa, bensì la stupefacente penetrazione dei caratteri che Rembrandt rivela nei suoi ritratti.
Evidentemente la scoperta artistica di certi rapporti significativi di forma e la scoperta scientifica di un rapporto ordinato che costituisce una nuova legge naturale, hanno molti punti in comune. Fry distingue la prima per la sua specifica natura emotiva, simile al godimento che si prova nella percezione della bellezza. Scrive infatti: «Questa emozione suscitata dalla forma, che chiamerò "passione per la bellezza pura".» Conviene con Freud che questa nasce dall'istinto sessuale, sebbene nel corso del suo sviluppo se ne sia poi allontanata. Il senso estetico della bellezza e il mondo della fantasia hanno avuto la stessa origine, ma Fry ribadisce giustamente che, raggiunto il completo sviluppo, le loro funzioni si sono differenziate. Fa poi notare che questa passione estetica può esser presente anche qiiando l'oggetto ritratto, giudicato secondo i comuni criteri, è brutto; se nella varietà c'è un ordine intenzionale, allora non è necessaria anche la bellezza sensuale o percettiva.
Su questo problematico argomento della bellezza sono stati scritti molti volumi; lo studio analitico più penetrante è a mio parere quello di Hanns Sachs. In questa sede mi limiterò a osservare che da un punto di vista psicologico esso sembra strettamente connesso a un senso di sicurezza e a un desiderio di perfezione. È stato suggerito che il vero punto di partenza dell'impulso creativo in arte è la ricerca della bellezza, «l'impulso a trovare qualche possibilità di riposo nella sconcertante fantasmagoria del mondo esterno».
È tempo di tornare a Freud. Non mancano le testimonianze e le prove per dimostrare che egli aveva un acuto senso della bellezza semplice, soprattutto nella sfera naturale, e che era capace di una certa valutazione estetica; ma è altrettanto certo che non l'ha mai coltivata nel senso di una discriminazione, se non forse un poco nel campo della letteratura. Dopo tutto nessuno avrebbe trascorso per dodici anni le proprie" vacanze vagabondando per i musei d'Italia, osservandone attentamente le magnifiche architetture e le collezioni artistiche, senza esser mosso, almeno in una'certa misura, da un vivo senso estetico. Fu evidentemente Fliess a richiamare l'attenzione di Freud su questo aspetto del piacere di un viaggio, e fu lui a dargli un libro di Hehn sull'arte italiana. Proprio prima di partire per un giro nell'Italia settentrionale Freud gli scriveva: «Spero questa volta di penetrare un po' più a fondo nell'arte italiana. Comincia a farsi strada in me il Suo punto di vista, cioè la ricerca non di ciò che riveste un interesse storico-culturale, bensì della bellezza assoluta, che si ammanta nelle idee e nella composizione, e nelle fondamentali sensazioni di piacere date dallo spazio e dal colore.» Quattro anni dopo scriveva da Roma alla moglie: «Oggi ho rivisto le stupende cose dei Musei Vaticani, dai quali si esce come intossicati.» Ma sapeva raggiungere un grado d'intossicazione ancora più intenso nella contemplazione della natura. Da Ammerwald, poche settimane prima del viaggio in America, scriveva a Jung: «Ieri pomeriggio ho trascinato le mie stanche ossa su per una montagna, dove la natura, con il più semplice apparato scenico - con rocce splendenti, prati rossi di rododendri, una chiazza di neve, una cascata: il tutto su uno sfondo verde - ha ottenuto un'effetto così meraviglioso da spersonalizzarmi completamente. Avrebbe potuto diagnosticare in me un demente precoce.» Freud si rendeva perfettamente conto che il suo senso estetico aveva conservato una semplice forma primitiva e non era mai stato coltivato, come avviene invece per il conoscitore d'arte. Ne veniva distolto dall'intervento di un istinto in lui più forte, quello della curiosità. Quando, come spesso avveniva, rimaneva profondamente scosso da un'opera d'arte, non trovava pace finché non aveva tentato tutto per scoprire che cosa lo aveva commosso o che cosa aveva spinto l'artista a produrre quella particolare opera. Questa intensa preoccupazione lo distoglieva da ogni interesse per quella che soleva chiamare la nuda tecnica dell'arte, e che per molti artisti costituisce tutta la loro arte. In altre parole, il suo istinto scientifico prevaleva facilmente su quello artistico; Freud riconosceva un rapporto tra i due e ci meditò a lungo. Il suo famoso saggio su Leonardo si occupa in gran p\rte del loro confronto e contrasto, e del conflitto che può insorgere tra loro, come accadde per Leonardo e per Goethe.
Come vedremo, Freud si occupò più di letteratura che di pittura o scultura; è significativo che nei suoi scritti su Leonardo e Michelangelo egli non discuta apertamente il problema della valutazione estetica. Quanto alla psicologia degli artisti, il suo pensiero è riassunto nel passaggio già citato: «Gli artisti sono dotati di un forte potere di sublimazione e di una certa elasticità nelle loro rimozioni.» Egli è sicuro che il loro impulso creativo trae origine da qualche importante fantasia inconscia. Al di fuori di questo, Freud è straordinariamente riservato nel discutere di psicologia dell'arte o dell'artista. Egli dà l'impressione di volersi sottrarre al problema, trattenuto, si direbbe, dal suo enorme rispetto per gli artisti e dal misterioso fascino che emana dal genio. Egli sentiva certamente che qualsiasi soluzione degli enigmi che essi presentano era fuori della sua portata, anzi, che sono probabilmente insolubili. Altri analisti, forse meno inibiti di Freud da questo punto di vista, hanno scavalcato quelle barriere che egli giudicava definitive.
Non sempre risulta chiaro se nel parlare di un inaccessibile segreto dell'artista Freud ha in mente il particolare potere di sublimazione che trasforma la fantasia inconscia personale dell'artista nel campo universale della grande arte, Ovvero la tecnica specifica che abbiamo visto essere quella della valutazione estetica. In ogni caso è opportuno citare alcune sue frasi in proposito. Nel libro su Leonardo (1910) scrive: «Siccome le doti e i talenti dell'artista sono strettamente legati al suo potere di sublimazione, dobbiamo ammettere che dal punto di vista psicoanalitico anche la natura della conquista artistica ci è inaccessibile». Tre anni dopo, nell'esporre il suo pensiero su «Scientia», afferma: «Non è la psicologia che deve dire da dove l'artista trae le sue capacità creative», proposizione negativa della quale non tutti gli psicologi si accontenterebbero. Nella Autobiografia ricorre una frase altrettanto precisa: «Essa [la psicoanalisi] non può far nulla per chiarire la natura del talento artistico, né può spiegare con quali mezzi l'artista lavora, ossia la tecnica artistica.» E ancora nel 1928, nelle prime pagine del saggio su Dostoievskij, afferma: «Disgraziatamente l'analisi deve deporre le armi davanti al problema dello scrittore creativo.»25 Possiamo concludere con un'osservazione di carattere più generale, da lui fatta l'anno prima: «Come sappiamo da tempo, l'arte offre delle gratificazioni sostitutive alle più antiche rinunce imposte dalla civiltà, che rimangono tuttavia le più profondamente sentite, e per questa ragione essa serve meglio di qualsiasi altra cosa a riconciliare gli uomini con i sacrifici che essi compiono nell'interesse della civiltà.»
Possiamo dire una parola sull'effetto della psicoanalisi sull'ispirazione artistica. Gli artisti si sono spesso preoccupati, per non dire allarmati, a questo proposito, e l'hanno manifestato in due modi opposti, anzi contraddittori. Da un lato hanno ammonito gli analisti a non tentare di penetrare i loro segreti; hanno cioè affermato con sicurezza (riuscendo persino a citare in favore della loro tesi i brani di Freud sopra riportati), che le fonti del senso estetico sono così profonde che la psicoanalisi non riuscirà mai a raggiungerle o a far luce sulla loro natura: gli analisti sprecheranno solo il loro tempo. Gli analisti a loro volta hanno sconsigliato agli artisti di farsi analizzare, per evitare che vada distrutta l'ispirazione dell'arte loro; non hanno però mai spiegato perché proprio questo particolare talento dovrebbe correre un così terribile rischio.
Nel discutere questo punto, dovremo ammettere la distinzione precedentemente fatta tra le due componenti del talento artistico: l'ispirazione derivata da qualche fantasia inconscia e il dono della valutazione estetica. Esistono allora due supposti pericoli che il purista, in arte, affronta in modo un po' diverso: sminuendo o addirittura negando l'importanza della componente fantastica, della quale non può avere un apprendimento cosciente, egli considera quasi un compiacimento l'idea di una sua analisi, che non può comunque nuocere a quella che egli considera la vera natura dell'arte, cioè l'apprezzamento estetico. È questo il fondo irraggiungibile.
I puristi hanno ragione nel sostenere che la fonte dell'apprezzamento estetico giace più profonda di qualsiasi fantasia inconscia, e che si distacca dalla nostra vita istintuale più di qualsiasi altro interesse umano, ad eccezione forse della matematica pura; in altre parole, essa rappresenta l'apice della desessualizzazione. Che sia distante non significa però che sia impenetrabile. Se si considera il materiale usato nelle cinque arti (il colore, l'argilla, la pietra, la parola, il suono), qualunque psicologo deve concludere che l'appassionante interesse di portare ordine nel caos deve significare contemporaneamente una straordinaria sublimazione dei più primitivi piaceri infantili e al tempo stesso la loro negazione più assoluta. In termini psicoanalitici questa appassionante coesistenza rappresenta una fissazione a uno stadio di «piacere preliminare» (Vorlust).
Solo un'effettiva esperienza può dare una risposta al quesito già posto circa l'effetto della psicoanalisi sull'ispirazione artistica, e fortunatamente l'ha già fatto in modo definitivo. Ormai molti artisti, di prim'ordine e di second'ordine, si' sono fatti analizzare, e i risultati sono stati chiari. Quando l'impulso artistico è genuino, la maggiore libertà raggiunta attraverso l'analisi non può che aumentare le capacità artistiche, ma quando il desiderio di diventare artista è dettato da motivi puramente nevrotici o irrilevanti, l'analisi chiarisce la situazione. Anche Freud esprime succintamente la stessa conclusione in una lettera scritta verso la fine della sua vita a una violinista che gli poneva proprio questa domanda. Si trattava della signorina Maria Thoman, ora defunta, figlia di Stephan Thoman, noto pianista e professore all'Accademia di Musica di Budapest.
27 giugno 1934 Sehr geehrtes Frdulein,
non è escluso che un'analisi sfoci nell'impossibilità di continuare una attività artistica. Ma allora non è colpa dell'analisi: sarebbe successo comunque, ed è solo un vantaggio venirlo a sapere in tempo. Quando invece l'impulso artistico è più forte delle resistenze interne, l'analisi potrà solo accrescere, e non diminuire, le possibilità di riuscita.
Con i migliori auguri Freud